L’ho conosciuta per caso.
Stava leggendo “La nausea” di Sartre al tavolino di un bar.
Quei capelli ricci.
Quella voce acuta da bambina.
Non aveva niente di comune.
Sembrava vivere in un mondo tutto suo.
Non gliene fregava niente dei soldi, della tv, delle macchine.
Forse non le interessavano neanche gli uomini.
“Sono tutti stronzi”, diceva.
Non me la sentivo di darle torto.
Pensavo soltanto: dev’esserci qualcuno buono, da qualche parte.
Chissà quante delusioni aveva provato.
Sembrava cresciuta troppo in fretta.
Nonostante l’età, i suoi discorsi erano particolarmente profondi.
Diceva: “Ti sembrano normali, gli altri?”
Diceva: “Mi sento fuori dalle cose.”
Io ero contento della nostra complicità.
Forse in qualche modo ci compensavamo.
Riuscivo a farla ridere, e a me sembrava una specie di concessione.
Mi concedeva di entrare nella sua vita.
Con me si apriva.
Mi confessava cose che non avrebbe mai detto a nessuno.
Certo, con lei non era tutto facile.
Spariva per giorni senza motivi apparenti.
E poi tornava come se nulla fosse successo.
Mi ci sono abituato.
Fosse stata una persona qualunque, credo che mi sarei allontanato da lei.
Ma al di là dei suoi comportamenti contraddittori, capivo quello che si portava dentro.
Star vicino a una persona di cui non condividi tutto, non significa forse voler bene veramente?
Non avevo dubbi. Non ho dubbi.
Lei è una delle persone più belle che io abbia mai conosciuto.
Oggi, ricevere la sua telefonata mi ha reso felice.
L’ho considerato un segno.
Dovevo scrivere.
Qualsiasi cosa.
Magari un racconto che parlasse di lei.
Magari un racconto sull’amicizia, quella buona.
E così ho fatto.
Luigi Costantino